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Mistica.Blog
- Pagine di mistica e spiritualità a cura di
Antonello Lotti
Francesco di Assisi
Caravaggio, San
Francesco in estasi, particolare, 1595 ca.,
«Beato il servo
che accumula nel tesoro del cielo i beni che il Signore gli mostra
e non brama di manifestarli agli uomini con la speranza di averne
compenso, poiché lo stesso Altissimo manifesterà le sue opere a chiunque
gli piacerà. Beato il servo che conserva nel suo cuore i segreti
del Signore».
Breve Antologia:
È
impossibile citare l'immensa bibliografia su Francesco d'Assisi. Questi
che seguono sono solo brevi ed utili riferimenti, accessibili ai più:
FONTI FRANCESCANE.
Terza edizione rivista e aggiornata,
Editrici Francescane, 2011
Alfonso Pompei, Francesco d'Assisi,
in Gerhard
Ruhbach, Josef Sudbrack (cur.),
Grandi mistici dal 300 al 1900, EDB, Bologna 1987 (pagg.
177-199)
Giambattista
Montorsi, Francesco
d'Assisi maestro di vita. Il messaggio delle Fonti Francescane,
Messaggero, Padova 1983
La
letteratura francescana, (a cura di Claudio
Leonardi), vol. 1: Francesco e Chiara d'Assisi,
Fondazione Valla/Mondadori, Milano 2004
Nasce
intorno al 1182 (forse autunno del 1181) ad Assisi e
viene battezzato col nome di Giovanni di Pietro di Bernardone. Il
padre vuole comunque che lo si chiami Francesco.
Nel
1198 partecipa all'assalto e alla successiva distruzione della
Rocca di Assisi, simbolo del potere imperiale.
Fra
popolo, borghesia e nobili della città di Assisi scoppia una guerra
civile, che coinvolge anche Perugia (ove è riparata buona parte
dei nobili assisani). Francesco fa parte delle truppe del comune di
Assisi. L'esercito è però sconfitto nella battaglia di Collestrada.
Francesco è catturato e come prigioniero viene rinchiuso nel carcere
di Perugia per un anno.
Nel
1203 viene liberato. Dopo una lunga e grave malattia, nel 1205
parte per la Puglia per diventare cavaliere e combattere con Gualtiero
di Brienne. All'altezza di Spoleto ha una visione misteriosa che lo
costringe e ritornare ad Assisi. Da questo momento comincia la sua
conversione.
Nel
giugno del 1205, Francesco partecipa ad una festa (che
sarà l'ultima) con gli amici di sempre. In una data imprecisata, c'è
un episodio che lo segnerà: incontra per strada un lebbroso e, sceso
da cavallo, dopo avergli fatto l'elemosina, gli dona un bacio.
Verso
la fine del 1205 a San Damiano, il crocifisso della
chiesa gli parla e lo invita a "restaurare la Chiesa".
Inizia il conflitto col padre che lo convoca in giudizio davanti al
vescovo di Assisi. Qui rinuncia all'eredità paterna e si spoglia
perfino degli abiti che indossava in quel momento.
Nel
1206 serve come sguattero in un monastero. Poi, vestito da
eremita, si reca a Gubbio aiutato da un amico e lì si prodiga
nell'assistenza ai malati di un lebbrosario. Ritornato ad Assisi,
inizia a riparare la chiesetta di San Damiano, mendicando in città le
pietre che gli servivano. Fino al 1208, restaura le chiese di
San Pietro della Spina e della Porziuncola in Santa Maria degli
Angeli.
Il
24 febbraio 1208 partecipa alla messa in Santa Maria degli
Angeli, per la festività di san Mattia. Dopo aver ascoltato il
vangelo in cui Cristo si rivolge agli apostoli inviandoli per il
mondo, decide di smettere la veste da eremita e indossa una rude
tonaca, si cinge con una fune e a piedi nudi comincia ad annunciare la
penitenza.
Nell'aprile
del 1208, Bernardo di Quintavalle e Pietro Cattani chiedono di
condividere la sua vita e si associano a lui. Giunge poco dopo anche
frate Egidio. Iniziano a predicare divisi in due gruppi dapprima nella
Marca di Ancona e successivamente, dopo che si erano aggiunti altri
tre frati, raggiungono Poggio Bustone nella valle Rieti e Firenze.
Nella
primavera del 1209 (forse 1210) Francesco scrive la
prima bozza di regola che decide di sottoporre all'approvazione della
Chiesa. Si presenta al papa Innocenzo III che l'approva, incaricandoli
della predicazione penitenziale. Ritornando, gli ormai dodici frati si
stabiliscono in un tugurio a Rivotorto. Solo dopo l'autorizzazione ad
usare la Porziuncola da parte dell'abate di San Benedetto del Subasio,
si stabiliscono qui definitivamente. Quel luogo diverrà la chiesa
madre dell'Ordine.
Nel
marzo del 1211 (forse 1212), Francesco accoglie Chiara e
la riveste dell'abito religioso. Da lì a poco, fisserà la sua dimora
a San Damiano. Negli anni fra il 1213 e il 1215 Francesco
parte per la Spagna, deciso a raggiungere il Marocco per predicare in
quei luoghi. Una malattia lo costringe a tornare indietro prima di
essere arrivato.
Negli
anni fra il 1217 e il 1220, i frati compiono diverse
missioni in Germania, Francia, Ungheria, Spagna e Marocco. Nel 1219 si
incontra col Sultano d'Egitto. L'anno successivo cinque frati, inviati
in Marocco, vengono uccisi.
Il
29 novembre del 1223, papa Onorio III, che è succeduto
ad Innocenzo III, morto a Perugia il 16 luglio 1216, approva la Regola
con la bolla "Solet annuere".
Tra
il 14 e il 15 settembre 1224, Francesco, nel luogo della Verna,
ha la visione del Serafino crocifisso e riceve le stimmate della
Passione. Peggiora nel frattempo la sua malattia agli occhi.
Nel
1226 le sue condizioni si aggravano e viene portato nel palazzo
del vescovo di Assisi. Sentendo prossima la fine, Francesco chiede di
essere portato alla Porziuncola, morendovi, sulla nuda terra, la sera
del 3 ottobre. Il 16 luglio 1228 è proclamato santo. Il
22 aprile 1230 vengono conclusi i lavori della basilica
inferiore di Assisi e il 25 maggio avviene la traslazione delle sue
spogli mortali nella nuova basilica, dalla chiesa di San Giorgio.
Benozzo Gozzoli, La
stigmatizzazione di Francesco
Opere
principali e scritti su Francesco
Per
l'esame degli scritti di e su Francesco d'Assisi, seguo quanto è stato
scritto da Giambattista Montorsi, nel libro citato precedentemente.
Diversi
sono gli scritti lasciati come molti quelli smarriti. La sua è una
scrittura per necessità o per zelo apostolico e non certo per
professione. Egli esorta e consiglia i frati e i fedeli, per trasmettere
disposizioni legislative e per preghiera. La lingua che Francesco usa per
la predicazione è quella del popolo di allora, un "volgare" che
sicuramente conosceva meglio del latino. Eppure, ad eccezione del Cantico
delle Creature, tutti i suoi scritti sono in latino. Nonostante
Francesco sapesse scrivere (e non era cosa diffusa in quei tempi) spesso
ama dettare, lasciando libertà nello stile anche se esigendo fedeltà
allo spirito. Nelle Fonti Francescane vengono raccolti i suoi scritti
suddividendoli in questo modo:
Le
varie Regole: la Regola non bollata, in quanto non sottoposta
all'approvazione pontificia, fu scritta nel 1221, anche se fu nel 1209
che papa Innocenzo III approvò oralmente questa forma di vita
apostolica; La Regola Bollata fu scritta invece nel 1223 a
Fontecolombo, nella valle di Rieti con la collaborazione di frate
Leone e frate Bonizio; la Regola per i romitori, scritta fra il
1217 e il 1221, è stata composta da Francesco per tutti quei frati
che vivevano negli eremi.
Il
Testamento fu invece dettato negli ultimi giorni di vita ed è
una sintesi autobiografica della sua esperienza spirituale.
Le
Ammonizioni sono invece state raccolte in occasione dei vari
capitoli. In tutto sono 28, con argomenti eterogenei.
Fra
gli altri scritti della prima parte delle Fonti Francescane troviamo
anche il Piccolo testamento, dettato a Siena nel 1226, in
occasione di una severa malattia e due brevi Scritti inviati a
santa Chiara.
La
seconda parte degli scritti di Francesco è invece riservata alle Lettere.
Molte di queste, sicuramente scritte, non ci sono pervenute, ma fra
quelle che esistono, si tratta di circolari di carattere dottrinale o
semplici biglietti occasionali. Si ricordano qui soprattutto la Lettera
a tutti i fedeli e la Lettera a tutti i chierici.
Una
parte molto importante degli scritti è costituita dalle lodi e dalle
preghiere. In particolare, si ricordano le Lodi delle virtù,
le Lodi di Dio altissimo, frutto dell'esperienza mistica della
Verna e che risalgono al 1224, Il Cantico delle Creature,
composto fra il 1225 e l'anno successivo.
I
francescani dei primi tempi si fondarono sicuramente più sulla vita di
Francesco che sulle regole scritte. Per questo le biografie sono molto
importanti. Esse hanno inteso trasmettere il Francesco della storia e le
sue vere intenzioni, seppure le testimonianze sia frutto di precisi
momenti storici che possono averle condizionate. Ricordiamo qui le
biografie principali:
La
Vita prima di Tommaso da Celano: nato da famiglia nobile
della Marsica, di Tommaso non si conosce molto. Ha una grande
preparazione biblica ed agiografica; è un elegante scrittore latino e
forse per questo papa Gregorio IX gli affida l'incarico di scrivere la
vita di Francesco. Tommaso si è basato sulle sue conoscenze dirette,
sulle parole di Francesco da lui stesso udite, sulle bolle dei
pontefici, su fonti orali e scritte diverse.
La
Vita seconda di Tommaso da Celano: nata a seguito del
capitolo di Genova del 1244 soprattutto per completare alcune lacune e
per sanare contrasti nati dopo la morte di Francesco in seno
all'Ordine francescano. Giungono altri documenti testimoniali e
particolarmente dai tre compagni più vicini a Francesco, Angelo,
Ruffino e Leone. Tommaso da Celano completa il racconto biografico e
dà un più preciso rilievo ai singoli elementi della spiritualità
del Santo. Tommaso da Celano scrisse anche un Trattato dei miracoli
fra il 1252 e il 1253, raccogliendo, su sollecitazione del
ministro generale Giovanni da Parma, le notizie riguardanti i miracoli
operati dal santo.
La
Leggenda Maggiore di Bonaventura da Bagnoregio: nato
intorno al 1217, da piccolo fu guarito da Francesco, come riporta la
sua testimonianza nel Prologo. Entrato nell'Ordine giovane, inizia lo
studio della teologia che lo porterà ad essere maestro. Nel capitolo
generale del 1260, riceve l'incarico di preparare una biografia
ufficiale di Francesco. Raccoglie tutte le testimonianze di cui può
disporre, ma non trova molto materiale inedito. Si potrebbe dire che
la sua risulta essere un'opera compendiaria delle biografie di Tommaso
da Celano, legate da un filo conduttore nuovo: la conformità della
vita di Francesco a quella di Cristo. Bonaventura scrive quasi
contemporaneamente una Leggenda minore, una sorta di estratto.
Nel capitolo generale tenuto a Parigi nel 1266, viene ordinato di
distruggere tutte le precedenti biografie di Francesco. In effetti,
ciò avvenne. Ma alcuni esemplari rimasero, rari e quasi unici: la Vita
prima del Celano venne rinvenuta soltanto nel 1768, mentre la Vita
seconda nel 1806 e soltanto nel 1899 venne recuperato il Trattato
dei miracoli.
La
Leggenda dei tre compagni: si tratta di una biografia
sistematica, sicuramente non scritta dai tre compagni e informata
dalla biografia di Bonaventura e quindi databile successivamente al
1266. Insieme a questa biografia, citiamo anche la Leggenda di san
Francesco di Anonimo Perugino, che non ebbe molta fortuna.
La
Leggenda perugina fu scoperta tardivamente nella Biblioteca
comunale di Perugia e pubblicata nel 1922. Si data intorno al 1311.
Lo
Specchio di perfezione è un tentativo di mettere insieme
notizie e memorie che sarebbero dovute pervenire direttamente dai
compagni del santo. Pubblicato per la prima volta nel 1898, non se ne
conosce l'esatta datazione.
I
Fioretti: si tratta di una rielaborazione di un volgarizzatore
toscano condotta dopo il 1375 di Atti del beato Francesco e dei
suoi compagni scritti fra il 1327 e il 1340 da Ugolino da
Montegiorgio. Nonostante alcuni particolari, la sostanza del libro è
storica.
Si
ricorda qui brevemente anche il Sacrum commercium, opera
allegorica più che biografica, di controversa datazione, che
suggerisce una teologia della vita francescana come alleanza di
Francesco con la povertà.
La visione alla Porziuncola
Vincenzo
Battaglioli, nella compilazione
della voce su Francesco d'Assisi nel Dizionario di mistica, citato
nella pagina dei
riferimenti
bibliografici, distingue l'esperienza mistica di Francesco in tre
punti, che corrispondono a tre realtà personali: il vedere, il fare, il
patire. Integrerò queste riflessioni con quelle di Alfonso Pompei,
citato all'inizia di questa pagina.
1.
IL VEDERE
«È
il Crocifisso a presentarglisi straziato e povero, a guardarlo,
chiedendogli amore, a mandarlo a continuare la sua stessa missione.
Cristo si mostra, parla e comanda. Da quando Francesco vede e ascolta il
Crocifisso, continua a guardarlo e ad ascoltarlo, ponendo in cuore
quello che viene facendo per obbedire alle sue parole. Al Cristo che
egli vede si riconduce per tutta la vita».
2.
IL FARE
«Francesco
si trova dopo quella liberazione dal padre che gli fa incontrare il
Padre che sta nei cieli, ad avere per casa il mondo e per veste quella
povera tonaca tenuta da una corda. E subito a seguirlo sono ricchi e
potenti. La loro nuova forma di vita è lo specchio preciso del
programma di vita evangelica nella povertà totale.» Cristo manda
Francesco e i suoi nel mondo attraverso la novità di una vita
evangelica vissuta nella povertà totale.
3.
IL SOFFRIRE
Il
luogo della Verna, donato a Francesco, è il luogo in cui si manifestano
i segni della Passione di Cristo nel suo corpo. Era un luogo
privilegiato per la riflessione, la preghiera, la vita vissuta al limite
dell'ascesi. Le stimmate sono da sempre considerate un dono che lo
avrebbe assimilato alla glorificazione del Crocifisso. Un dono doloroso
e sofferto nel corpo e nello spirito, che spinge, attraverso il
sacrificio personale del primo stigmatizzato della storia, alla
conversione le persone che incontrerà nei successivi due anni di vita.
Davvero sempre più, attraverso questa esperienza, la sua vita si unisce
a quella di Cristo.
CONSIDERAZIONI
La
vita di Francesco è una vita caratterizzata da una costante e
particolare consapevolezza del soprannaturale nell'uomo.
Ogni uomo è chiamato alla santità ossia all'unione con Dio. Questa
unione consiste in atti di conoscenza credente e di amore, tutto
all'insegna di una penitenza di ispirazione evangelica. La sua intensa
vita spirituale e il suo straordinario ascetismo devono essere
appannaggio di ogni forma di perfezione.
L'esperienza
della passività della vita spirituale in Francesco d'Assisi è
questa dipendenza da Dio come unica guida. Ed egli esortava anche i
frati ad essere sempre attenti a questa divina presenza illuminatrice
e riscaldatrice. Tutta la sua opera non è altro che frutto della
consapevolezza dell'amore di Dio che opera in lui. Gesù stesso è la
sua virtù e la sua forza e la vita santa è una risposta a Dio
sperimentato come colui che si dona totalmente a lui per essere Dio
stesso la sua risposta.
Negli
scritti egli narra di questa costante esperienza: tutto gli fa
vivere come dono divino, a partire dalla conversione,
attraverso la sequela, la vita fra i lebbrosi, i seguaci, la fede
nella chiesa istituzionale e nei sacerdoti, nei sacramenti, alla
parola e al silenzio, al lavoro, alla missione fra gli
"infedeli". La sua povertà è gioia nel restituire a
Dio anche i suoi beni spirituali. In questa prospettiva anche la
mistica è un dono nel senso più assoluto della parola, il quale può
essere anche dato e non dato a chi è giunto alla perfezione.
L'esperienza
della semplicità consiste in un incessante ed esclusivo
concentrarsi in Dio, vivendo tale concentrazione con la globalità di
tutte le dimensioni della sua persona, in un'incessante visione di
Dio. Scrive infatti nelle Ammonizioni (XVI, 2):
«Puri
di cuore sono coloro che disprezzano le cose terrene e cercano le
celesti e non cessano mai di adorare e di vedere il Signore Dio, vivo e
vero, con cuore e animo puro.»
Tale
assorbimento totale in Dio, sperimentato con tutto il proprio essere
fin quasi a "vedere" Dio, suggerisce a Francesco, uomo attivo
e contemplativo, la messa in guardia contro un frenetico attivismo
esteriore, scambiato a volte come apostolato. La peculiarità mistica
di questa "semplice" esperienza di Dio come unico Signore
della propria vita, è avvertita là dove Francesco insiste nel dire
che tutto il resto, compreso il proprio corpo, è una limitazione di
quella libertà della semplicità che, sola, permette all'uomo di
vivere un rapporto con Dio.
Infine,
quando il servizio, l'amore, l'adorazione e l'onore del Signore sono
ormai l'espressione di un cuore e di un'anima puri, l'uomo non trova
ormai più ostacoli tra sé e Dio; ignora cure e preoccupazioni
interiori ed esteriori e quindi sperimenta questo intimo contatto con
Dio come una forza determinante per tutti gli aspetti del proprio
essere umano. È allora che Francesco percepisce se stesso e la
propria comunità fraterna come un'abitazione e dimora per Dio.
Riepilogando:
nella sua mistica esperienza, si tratta in primo luogo di un'unione
con Dio che diventa il cuore stesso di tutta la sua vita; in secondo
luogo, in questa mistica unione si tratta di un'esperienza che egli
stesso manifesta in espressioni tratte dai linguaggi amorosi umani,
proprio perché essa coinvolge, oltre le facoltà spirituali, la
globalità delle dimensioni personali e comporta anche un travaglio
del corpo e sul corpo.
Cimabue, Madonna con Bambino,
angeli e Francesco
Breve Antologia
Lettera
ai reggitori dei popoli
Questa
lettera commuove per il tono quasi intimidatorio e fa pensare a come
siano cambiati i tempi dal 1200 ad oggi: anche il reggitore del popolo,
sia che si chiami podestà o console o magistrato dovrebbe, per
Francesco, ravvedersi e convertirsi, abbandonando le troppe cure e
preoccupazioni di questo mondo, contemplando il mistero della morte che
si avvicina, ossia il giorno del giudizio. Da questo pensiero, ritornare
al Signore; ricordarlo per sé ed annunciarlo a tutto il popolo, anche
attraverso segni che sembrano qui ispirati alla tradizione islamica (i muezzin
dell'Oriente). L'appello, in realtà, può essere recepito da tutti
e non solo da coloro che governano il mondo e i popoli: troppo spesso
siamo "presi" dalle cose che dobbiamo o vogliamo fare anche
per sentirci potenti, dopo che siamo riusciti a realizzarle. Ma troppo
spesso dimentichiamo che l'opera che veramente ci fa grandi e potenti è
quella di credere in Dio e in colui che egli ha mandato, Gesù Cristo.
Occorre, secondo Francesco, vivere in questa memoria, avvicinandosi al
corpo e al sangue di Cristo, annunciando a tutti, con ogni mezzo
disponibile e per quanto possiamo, la sua opera di salvezza.
«A
tutti i podestà e consoli, magistrati e reggitori d'ogni parte del mondo,
e a tutti gli altri ai quali giungerà questa lettera, frate Francesco,
vostro servo nel Signore Dio, piccolo e spregevole, a tutti voi augura
salute e pace.
Considerate
e vedete che il giorno della morte si avvicina. Vi supplico perciò, con
tutta la reverenza di cui sono capace, di non dimenticare il Signore,
assorbiti come siete dalle cure e preoccupazioni di questo mondo, e di non
deviare dai suoi comandamenti, poiché tutti coloro che dimenticano il
Signore e si allontanano dai comandamenti di lui, sono maledetti e saranno
dimenticati da lui.
E
quando verrà il giorno della morte, tutte quelle cose che credevano di
possedere saranno loro tolte. E quanto più sapienti e potenti saranno
stati in questo mondo, tanto maggiori saranno i tormenti che dovranno
patire nell'inferno.
Perciò
io con fermezza consiglio a voi, miei signori, che, messa da parte ogni
cura e preoccupazione, riceviate volentieri il santissimo corpo e sangue
del Signore nostro Gesù Cristo in sua santa memoria.
E
siete tenuti ad attribuire al Signore tanto onore fra il popolo a voi
affidato, che ogni sera si annunci, mediante un banditore o qualche altro
segno, che siano rese lodi e grazie all'onnipotente Signore Iddio da tutto
il popolo. E se non farete questo, sappiate che dovrete renderne ragione a
Dio davanti al Signore vostro Gesù Cristo nel giorno del giudizio.
Coloro
che riterranno presso di sé questo scritto e lo metteranno in pratica,
sappiano che saranno benedetti dal Signore Iddio.»
Testamento
di san Francesco
scelti
È
un testo molto importante e bello: in poco tratteggia la sua vita e la
sua esperienza spirituale. In particolare vorrei sottolineare alcune
espressioni che mi hanno sempre colpito:
«Il
Signore dette a me, frate Francesco, d'incominciare a fare penitenza
così: quando ero nei peccati, mi sembrava cosa troppo amara vedere i
lebbrosi; e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi
misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu
cambiato in dolcezza d'animo e di corpo. E di poi, stetti un poco e uscii
dal mondo.
E
il Signore mi dette tale fede nelle chiese, che io così semplicemente
pregavo e dicevo: Ti adoriamo, Signore Gesù Cristo, anche in tutte le
tue chiese che sono nel mondo intero e ti benediciamo, perché con la tua
santa croce hai redento il mondo.
Poi
il Signore mi dette e mi dà una così grande fede nei sacerdoti che
vivono secondo la forma della santa Chiesa Romana, a motivo del loro
ordine, che anche se mi facessero persecuzione, voglio ricorrere proprio a
loro. E se io avessi tanta sapienza, quanta ne ebbe Salomone, e mi
incontrassi in sacerdoti poverelli di questo mondo, nelle parrocchie in
cui dimorano, non voglio predicare contro la loro volontà.
E
questi e tutti gli altri voglio temere, amare e onorare come miei signori.
E non voglio considerare in loro il peccato, poiché in essi io riconosco
il Figlio di Dio e sono miei signori. E faccio questo perché, dello
stesso altissimo Figlio di Dio nient'altro vedo corporalmente in questo
mondo, se non il santissimo corpo e il santissimo sangue suo che essi
ricevono ed essi soli amministrano agli altri.
E
dopo che il Signore mi dette dei frati, nessuno mi mostrava che cosa
dovessi fare, ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo
la forma del santo Vangelo. Ed io lo feci scrivere con poche parole e con
semplicità, e il signor Papa me lo confermò.
E
quelli che venivano per abbracciare questa vita, distribuivano ai poveri
tutto quello che potevano avere, ed erano contenti di una sola tonaca,
rappezzata dentro e fuori, del cingolo e delle brache. E non volevamo
avere di più.
Ed
io lavoravo con le mie mani e voglio lavorare; e voglio fermamente che
tutti gli altri frati lavorino di un lavoro quale si conviene all'onestà.
Coloro che non sanno, imparino, non per la cupidigia di ricevere la
ricompensa del lavoro, ma per dare l'esempio e tener lontano l'ozio.
Il
Signore mi rivelò che dicessimo questo saluto: Il Signore ti dia la pace!
E
il ministro generale e tutti gli altri ministri e custodi siano tenuti,
per obbedienza, a non aggiungere e a non togliere niente da queste parole.
E
sempre tengano con sé questo scritto assieme alla Regola. E a tutti i
miei frati, chierici e laici, comando fermamente, per obbedienza, che non
inseriscano spiegazioni nella Regola e in queste parole. Come il Signore
mi dato di dire e di scrivere con semplicità e purezza la Regola e queste
parole, così cercate di comprenderle con semplicità e senza commento e
di osservarle con sante opere sino alla fine.
E
chiunque osserverà queste cose, sia ricolmo in cielo della benedizione
dell'altissimo Padre, e in terra sia ricolmo della benedizione del suo
Figlio diletto col santissimo Spirito Paraclito e con tutte le potenze dei
cieli e con tutti i santi. Ed io frate Francesco piccolino, vostro servo,
per quel poco che io posso, confermo a voi dentro e fuori questa
santissima benedizione.»
Parafrasi
del "Padre Nostro"
«O
santissimo Padre nostro: creatore, redentore, consolatore e
salvatore nostro.
Che
sei nei cieli: negli angeli e nei
santi, illuminandoli alla conoscenza, perché tu, Signore, sei luce;
infiammandoli all'amore, perché tu, Signore, sei amore; ponendo la tua
dimora in loro e riempiendoli di beatitudine, perché tu, Signore, sei il
sommo bene, eterno, dal quale proviene ogni bene e senza il quale non
esiste alcun bene.
Sia
santificato il tuo nome: si
faccia luminosa in noi la conoscenza di te, affinché possiamo conoscere
l'ampiezza dei tuoi benefici, l'estensione delle tue promesse, la
sublimità della tua maestà e la profondità dei tuoi giudizi.
Venga
il tuo regno: perché tu regni in
noi per mezzo della grazia e ci faccia giungere nel tuo regno, ove la
visione di te è senza veli, l'amore di te è perfetto, la comunione di te
è beata, il godimento di te senza fine.
Sia
fatta la tua volontà, come in cielo così in terra:
affinché ti amiamo con tutto il cuore, sempre pensando a te; con tutta
l'anima, sempre desiderando te; con tutta la mente, orientando a te tutte
le nostre intenzioni e in ogni cosa cercando il tuo onore; e con tutte le
nostre forze, spendendo tutte le nostre energie e sensibilità dell'anima
e del corpo a servizio del tuo amore e non per altro; e affinché possiamo
amare i nostri prossimi come noi stessi, trascinando tutti con con ogni
nostro potere al tuo amore, godendo dei beni altrui come dei nostri e nei
mali soffrendo insieme con loro e non recando nessuna offesa a nessuno.
Il
nostro pane quotidiano, il tuo
Figlio diletto, il Signore nostro Gesù Cristo, dà a noi oggi: in
memoria, comprensione e reverenza dell'amore che egli ebbe per noi e di
tutto quello che per noi disse, fece e patì.
E
rimetti a noi i nostri debiti:
per la tua ineffabile misericordia, per la potenza della passione del tuo
Figlio diletto e per i meriti e l'intercessione della beatissima Vergine e
di tutti i tuoi eletti.
Come
noi li rimettiamo ai nostri debitori:
e quello che non sappiamo pienamente perdonare, tu, Signore, fa' che
pienamente perdoniamo, sì che, per amor tuo, amiamo veramente i nemici e
devotamente intercediamo presso di te, non rendendo a nessuno male per
male e impegnandoci in te ad essere di giovamento a tutti.
E
non ci indurre in tentazione:
nascosta o manifesta, improvvisa o insistente.
Ma
liberaci dal male: passato,
presente e futuro.»
Lettera
a un ministro
«Al
frate ministro N., il Signore ti benedica.
Ti
parlo così come posso della condizione della tua anima: le cose che ti
impediscono di amare il Signore Iddio come anche le persone che
ti saranno di ostacolo, siano frati o altri, anche se ti bastonassero, tutto
questo devi ritenere una grazia. E tu devi volere questo, non
altro. E questo sia per te vera obbedienza al Signore Iddio e a me,
perché so con certezza che questa è la vera obbedienza. E ama coloro che
si comportano così con te, e non volere altro da loro se non quanto il
Signore ti darà. E in questo amali, e non volere che diventino
cristiani migliori. E ciò sia per te più che un romitorio.
In
questo voglio poi conoscere che tu ami il Signore e ami me, suo servo e
tuo, se farai questo: non ci sia nessun frate al mondo che ha peccato, per
quanto avrà potuto peccare, che dopo avere incontrato i tuoi occhi se
ne vada via senza aver ottenuto da te, avendola chiesta, misericordia,
se poi non la chiedesse, chiedigli tu se desidera misericordia; e se poi
davanti ai tuoi occhi peccasse mille volte, amalo più di quanto ami me,
così da attrarlo al Signore; e abbi sempre misericordia di questi frati.
E vedi di rendere noto al guardiano, quando lo potrai, che per quanto ti
riguarda sei fermamente deciso a comportarti in questo modo.»
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